Cultura accessibile: il Museo Tattile Omero di Ancona

Sempre più musei in Italia stanno cominciando a porre attenzione al tema dell’accessibilità; un termine che si riferisce in modo trasversale sia ad ostacoli di tipo fisico che cognitivo, e si articola in accessibilità alla struttura, all’esperienza e all’informazione (si veda il “Manifesto della cultura accessibile” elaborato dal Tavolo della cultura accessibile, costituito nel 2010, per iniziativa della Consulta per le Persone in Difficoltà di Torino e del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli). Si sente sempre più l’urgenza di rendere più inclusiva ed aperta la fruizione culturale ed artistica, sia in campo strettamente museale, ma anche nelle varie industrie culturali e creative. Questo in seguito alla diffusione capillare del concetto di audience engagement e development. La rivoluzione copernicana in atto punta al riconoscimento della centralità dei vari pubblici museali, cercando dunque di diversificare sempre di più la propria offerta culturale e il modo di presentarla.

Pioniera in questo senso è stata l’esperienza del Museo Tattile Omero di Ancona, che dal 1993 ha avviato un percorso di sensibilizzazione verso il tema dell’accessibilità nelle sue svariate accezioni. Abbiamo intervistato il suo direttore e presidente, Aldo Grassini.

A che punto siamo a livello di accessibilità museale in Italia e nel resto del mondo?

Pensiamo sempre di essere “gli ultimi della classe”: in questo caso, per fortuna, non è così. Il Museo Omero di Ancona è stato uno dei primi in Italia, anticipato di pochissimo a livello mondiale (e per ragioni esclusivamente burocratiche) dal Museo Tiflologico di Madrid, che aprì verso la fine del 1992. Nei musei del mondo c’è molta accortezza per quel che riguarda, ad esempio, la rampa di scale; poco si è fatto per quel che riguarda le barriere cognitive o esperienziali. Negli USA hanno un servizio di accoglienza inarrivabile, tuttavia c’è ancora molta reticenza nel permettere di far toccare le opere. In ogni caso è evidente che negli ultimi 3-4 anni c’è sempre una maggiore attenzione al tema, quasi una “moda”, e vari sono stati i tentativi di collocarlo al centro delle decisioni gestionali dei vari musei: purtroppo, spesso, alle intenzioni non corrispondono i fatti. Noi cerchiamo di tenere in conto le svariate esigenze di un non vedente (ad esempio il sito web) o un disabile (barriere architettoniche).

Il tema dell’accessibilità presuppone anche lo studio dei vari pubblici: il Museo Omero nel 2015 ha contato circa 25.000 visitatori che rapporto c’è a livello numerico tra normodotati e non vedenti?
Il museo persegue l’idea di essere per tutti, di non essere un “ghetto” per non vedenti. Questo tipo di apertura ha generato e sta generando un grande afflusso e curiosità anche da parte dei normodotati: qui dentro hanno l’opportunità di sperimentare un diverso approccio all’arte, che è quello tattile. Il tatto è da sempre stato vissuto solo come una forma di conoscenza: negli ultimi anni mi è sempre più apparso evidente che in questo senso sia insita la possibilità di veicolare anche un’estetica. Per i vedenti si tratta di una sorta di completamento sinestetico della fruizione artistica; per i non vedenti diventa un’esperienza autentica. Nel mio ultimo libro, infatti, mi chiedo: siamo sicuri che l’unico modo per fruire le arti visive sia il vedere?

Come si compone la vostra collezione?
Abbiamo un totale di circa 300 opere, 150 delle quali esposte secondo un ordine cronologico: andiamo da riproduzioni delle più note statue dell’età classica, ad esempio la Venere di Milo, fino agli anni 2000; in particolare, le opere del XX-XXI secolo in esposizione, sono degli originali.

Dunque al Museo Omero è possibile toccare realmente anche gli originali?
Assolutamente sì. Al concetto di originalità di un’opera si connette una sorta di sentimento di sacralità: l’opera non può essere toccata, si farebbe sacrilegio. Questo tipo di timore reverenziale ha precluso spesso e volentieri la possibilità di esperire l’opera nella sua interezza. Di solito nei musei “non dedicati” agli ipovedenti, se si vuole creare una sezione tattile, si rende fruibile la produzione egizia: la gran parte di queste opere sono fatte di porfido, basalto e granito, tutti materiali che difficilmente possono rovinarsi con il semplice toccarli. È chiaro che il bene va tutelato, ma ciò non vuol dire precluderne la sua fruizione: sarà necessario di volta in volta fare delle valutazioni intelligenti sul bene che vogliamo mettere a disposizione del pubblico. Trovo ridicolo il no a priori: se è evidente che l’originale non sia esponibile si procede con la copia.

Giorgio De Chirico, Manichini coloniali; opere di Felice Tagliaferri (Foto Giorgia Restaneo)

Trovate difficoltà nella creazione, reperimento e gestione delle riproduzioni?Collaboriamo da molti anni con alcune ditte: la tecnica più utilizzata, perché quella più fedele all’opera originale, è il calco diretto. Il costo è quello che è: di sicuro cominceranno a venirci in aiuto le nuove tecnologie con la stampa 3D. Tuttavia credo che continuare a barricarsi dietro a problematiche di costo e rimandare la messa a disposizione di riproduzioni per non vedenti, sia solo un alibi: è necessaria una rivoluzione culturale. La fruibilità e l’accessibilità non dovranno essere percepite come un “di più”: dovranno cominciare a far pare del concetto stesso di allestimento.

http://www.museoomero.it/

 

 

 

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