10 DOMANDE A NICOLA FELICE TORCOLI

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foto di Emiliano Zucchini
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Nicola Felice Torcoli, pittore, nasce a Brescia nel 1980 e si laurea all’Accademia delle Belle Arti di Brera nel 2006. Partecipa diverse volte al Premio Celeste, nonché a diverse mostre collettive e personali, l’ultima delle quali, dal titolo “Hasta la pittura sempre” si è tenuta dal 26 settembre al 13 ottobre presso la galleria AmyD ArteSpazio di Milano (via Lovanio,6).

Quando e come è cominciato il tuo percorso artistico?
Sono sempre stato un bambino molto creativo, ho iniziato a disegnare come tutti fin da piccolo.
Ricordo i miei quaderni delle scuole elementari: costellati da decorazioni, greche e “simbolini”. Dicevo che da grande avrei fatto l’inventore, il contadino, l’astronauta. Dopo il liceo scientifico, mi sono iscritto all’Accademia di Brera per studiare pittura: da allora non l’ho mai abbandonata.

I riferimenti artistici e culturali che ti hanno maggiormente influenzato nel corso del tempo?
Sono un divoratore di immagini: vedo mostre, guardo molti film, documentari e uso internet; poi c’è tutto ciò che mi circonda.
Sono della generazione cresciuta a cartoni animati giapponesi, telefilm e film americani, videogiochi e partite di pallone al campetto. Le immagini d’ arte che mi hanno influenzato sono quelle di opere viste dal vero: in quei momenti sento l’energia che trasmettono e solo dal vero si riesce ad apprezzare un’opera nella sua totalità, sebbene normalmente mi colpiscono i piccoli particolari.

Come nasce una tua opera? Cos’è per te l’ispirazione?
Oggi utilizzo un metodo che mi permette di dipingere in libertà, distruggere e ricreare.
L’ ispirazione è un evento di concause che avviene in momenti precisi ma incalcolabili. Il pittore, come un alchimista, non fa altro che ripetere costantemente in differenti momenti l’operazione pittorica, trovando anche casualmente la situazione perfetta che gli permette di fissare nell’opera un gesto. Per fare ciò ci vuole esercizio, una pratica costante e l’ideazione di alcuni rituali personali.

Il tuo rapporto con i colori? E col bianco e nero?
Ho sempre adorato i colori ma in Accademia, per i primi due anni, ho lavorato su riproduzioni fotografiche e fotocopie in bianco e nero. Cerco sempre qualcosa che scardini le regole e dia il via ad altre possibilità, ma in pittura esistono regole ben precise tra proporzioni di forme e colori. Per me è come girare per una città: prima percorro tutte le vie possibili, cerco con curiosità, mi perdo; poi estraggo dalla tasca la mappa: così la mia visione diventa completa e reale.

Quanto è importante per te il mezzo pittorico? Nel 2014 ha ancora “senso” dipingere?
La pittura è la madre delle forme d’arte, ma purtroppo oggi è soltanto mera rappresentazione, spesso analizzata o vista solo tramite riproduzione fotografica.
In alcuni corsi in Accademia si faceva copia dal vero ed in altri non si prendeva in mano neanche la matita: così ho imparato che esiste un “fare le cose” in modo
pittorico, un modo di vedere la realtà, analizzare gli elementi che compongono la materia, che è un’operazione spirituale, un costante allenamento della memoria. Il tutto diventa poi l’opera nell’attimo creativo.
Nella pittura c’è più elettricità di quanto non si pensi: i materiali che compongono un quadro sono frutto di reazioni, mescolamenti, strofinamenti che “producono” energia.
La pittura ha senso oggi, per chi la pratica, come richiamo a non perdere un atteggiamento quasi “ancestrale”, e per chi non la pratica è un monito a non dimenticare come osservare le cose.

Cosa significa per te “deframmentazione”?
E’ il terzo elemento del mio processo creativo. I primi due sono la teoria che tutti gli orologi sono nuvole e la simultaneità. Nella deframmentazione trovo il modo per riunire questi due elementi. Nella pratica: io dipingo, taglio le tele e le ricompongo. Questo processo ha a che vedere con la memoria, lo scambio e l’organizzazione delle informazioni; è un elemento della nostra società, del nostro modo di vivere e comunicare.
L’operazione di distruggere e ricreare è nella natura della materia, la base delle guerre: il conflitto è una costante nei rapporti umani e da esso scaturisce il bisogno di equilibrio.

Un artista che stimi particolarmente?
Sono stato assistente di Marco Cingolani più di dieci anni fa e nello stesso periodo ho conosciuto Andrea Mastrovito. Credo siano i due artisti con i quali ho condiviso alcuni dei momenti creativi più belli della mia vita e nel contempo le sofferenze più grosse. I consigli dell’uno e l’energia positiva dell’altro sono sempre nei miei pensieri e spero un giorno di poter condividere di nuovo quelle sensazioni.

Artisti, galleristi, Istituzioni. Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea del nostro Paese?
Si tratta della legge della domanda e dell’offerta. Un collezionista che ha potere decide cosa comprare e ciò incide sul valore che vuole far acquistare alle sue opere influenzando galleristi, critici, istituzioni.
Galleristi, critici e istituzioni danno visibilità alle opere, decidono le tendenze e creano i mercati, per questo è bene che un pittore entri in qualche modo a far parte di questo sistema, o non potrà considerarsi artista. Ci sono persone che acquistano un’opera perché incontra il loro gusto estetico, altre lo fanno perché l’opera ha un valore. Si ottengono così reazioni a catena. Esistono certo passaggi obbligati, ma il mondo dell’arte sorprende sempre e credo sia ancora terreno fertile per stupefacenti investimenti, poiché alla base c’è sempre l’opera. Fondamentalmente alla base ci sono i soldi e in Italia oggi sembrano essercene pochi, tra l’altro gestiti molto male.

Come pensi che un giovane artista possa oggi “districarsi” all’interno del sistema dell’arte?
Credo che la cosa più importante sia concentrarsi sul proprio lavoro, non aver fretta e mettersi in gioco senza forzature. Esistono sempre coincidenze incalcolabili e il mondo dell’arte deve restare un mondo di energie e possibilità. Un artista vive per fare delle opere e le opere vivono più degli artisti.

Progetti futuri.
A settembre andrò per un mese a Los Angeles in occasione della mostra Latitude 34-40 presso LA Artcore Center. Occasione nata grazie alla collaborazione tra Amy-d ArteSpazio di Milano e Art1307 di Napoli, che ha organizzato l’evento. Andiamo a vedere un po’ d’ America e a immagazzinare energie positive e riscoprire nuove proporzioni di forme e colori.

Potete trovare l’intervista integrale qui.

Serena Goi

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