Performance in fiera: dentro e contro il mercato

di Chiara Braidotti e Camilla Romeo

Per rivendicare il tradizionale rapporto tra Bologna e la performance art, Arte Fiera ha istituito quest’anno Oplà Performing Activities, ma non sono mancate le criticità.

Il direttore Simone Menegoi ha affidato il programma a Silvia Fanti, legata alla città e la cui ricerca è riconosciuta internazionalmente. Protagonisti di Oplà gli italiani Alex Cecchetti, Cesare Pietroiusti, Cristian Chironi e Nico Vascellari, da lei selezionati per creare una connessione fiera-città disseminando azioni dentro, fuori e ai margini della sua sede. L’idea? Stravolgere il senso dello spazio commerciale proponendo “economie paradossali”.

La curatrice rivela di aver accettato l’incarico solo per la fiducia verso la direzione. Anche Pietroiusti ha partecipato perché “Menegoi è garanzia di non dover scendere a compromessi e Silvia di profondità intellettuale”. In nessun caso l’intenzione è stata quella di legittimare il sistema fiera, anzi: per Pietroiusti “il contesto forse appiattisce il lavoro stesso. Si vuol testimoniare un’apertura alla performance, il programma è un tentativo di dire che l’arte non può essere solo una merce”.

Lavorando tra spazi esterni e interni, Vascellari ha connesso con i new media fiera e luoghi significativi della città, Chironi ha agito direttamente fra le strade bolognesi, Cecchetti ha offerto un rito di passaggio all’uscita dall’evento. Artworks That Ideas Can Buy di Pietroiusti unico progetto con uno stand interno alla fiera e opere di altri artisti: per acquisire l’opera esposta, il visitatore doveva inviare all’autore una lettera offrendo un’idea di valore concettuale pari a quello dell’opera desiderata. Così Pietroiusti si è avvicinato alle tradizionali dinamiche di mercato cambiandone però la valuta.

Artworks That Ideas Can Buy, stand di Cesare Pietroiusti presso Arte Fiera 2019, Bologna

Di fatto, esiste un mercato della performance dal vivo, affine nei meccanismi a quello di teatro e danza. Più che col mercato, è problematico il rapporto tra arte performativa e collezionismo, suggerisce Fanti. “Varie istituzioni, come la Tate, acquistano i diritti a ripetere la partitura di una performance per conservarne la memoria. Personalmente, sono contraria all’alienazione in vita del pezzo” aggiunge. Morto l’autore “per preservare un’opera esistono modalità diverse dalla riproduzione: testimonianze fotografiche, video o orali, come era negli anni ’70-’80”. Ad Arte Fiera, il rapporto tra istituzione e arte performativa ha presentato altre complessità: “ l’investimento da parte dell’ente è stato minimo” afferma la curatrice. La somma è stata comunque spartita equamente tra gli artisti invitati. Nel caso di Pietroiusti, il contributo ha coperto unicamente le spese di realizzazione.

Sulle difficoltà organizzative “tutto è filato liscio” riporta Pietroiusti. Di avviso differente è Fanti, che da subito ha preteso una “totale autonomia realizzativa. Dovendo ultimare tutto in soli tre mesi, mi sono affidata ai miei trent’anni di esperienza. Oplà non era una priorità per l’ente. Per il futuro, auspico una produzione parallela con un budget consistente che permetta di lavorare con artisti di alto livello anche internazionali”. Esistono forse casi più virtuosi di inserimento della performance art in eventi fieristici. Art Basel nel 2014 ha promosso una mostra parallela sull’ambito, coinvolgendo ben sedici performers internazionali. Anche Frieze riesce a essere punto di riferimento in questo campo, con la sua offerta ormai pluriennale di un programma dedicato.

Artworks That Ideas Can Buy, stand di Cesare Pietroiusti presso Arte Fiera 2019, Bologna

In quanto a riscontro del pubblico, ad Arte Fiera la risposta è variata a seconda del progetto. “Cecchetti è stato penalizzato da una segnalazione carente” lamenta Fanti. Pietroiusti era invece più accessibile: di natura mimetica, il suo spazio “ha attratto 50/60 persone l’ora e raccolto circa 240 lettere”, l’artista afferma. “L’arte deve portare un messaggio di libertà, non un’ideologia: dev ’essere una prassi di spostamento del punto di vista. Sei libero quando riesci a cambiare il modo di pensare”. Il visitatore si approcciava al suo spazio “senza aspettarsi un apparato concettuale, un raccoglitore performativo invece che una galleria” e qui mutava la sua visione. All’interno del meccanismo fieristico la performance è stata un’alterazione e Oplà un’occasione di considerare l’arte al di là delle dinamiche di mercato.

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